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Castelbuono. Strage di suidi, ma del censimento nessuna traccia


E che la strage abbia inizio e il mostro sia stanato e infine ucciso.

Così ha deciso il sindaco del Comune di Castelbuono, Antonio Tumminello, con un’ordinanza sindacale “contingibile e urgente” emessa lo scorso 3 marzo.

Campagne e boschi del centro delle Madonie, nonostante la stagione venatoria sia sia ufficialmente conclusa il 31 gennaio, torneranno a essere teatro di caccia e le carabine appese al chiodo (quelle cioé che rispettano i divieti esistenti) torneranno a sparare, per “ragioni di sicurezza e a tutela di un’incolumità pubblica minacciate”, si legge nel testo, “dalla massiccia presenza di suidi”.

Le motivazioni alla base del documento però, appaiono piuttosto laconiche, deboli e pretestuose.

Andiamo per ordine. Pare che negli ultimi mesi il corpo della polizia municipale di Castelbuono abbia ricevuto “diverse segnalazioni” circa la presenza di suidi avvistati nei dintorni di “abitazioni situate in aree periferiche”; mentre carabinieri e corpo forestale registravano altrettante denuncie per “danneggiamenti a colture, animali, abitazioni e rete viaria pubblica e privata” sempre provocati, pare, dai suidi.

Il sindaco sembra dimenticare però, come i danni materiali procurati dalla fauna selvatica siano previsti e indennizzati, tanto dalla legge regionale 157 del 1992 quanto dalla legge numero 33 del 1997 ed è probabilmente a queste che il Primo cittadino dovrebbe appellarsi.

La presenza di suidi viene dipinta come una vera e propria ecatombe, paragonabile solo a una calamità o una devastazione naturale, alla quale va ad aggiungersi, stando a quanto si legge nell’ordinanza, la possibilità di “pericolo imminente” legato a una potenziale aggressione da parte di “cinghiali, ibridi o inselvatichiti di maiale domestico”.

Di certo, a breve, qualcuno preso dall’enfasi prodotta dalla psicosi cinghiale potrebbe anche accusare i suidi di avergli sottratto il portafoglio, clonato la carta di credito, rubato l’auto e falsificato la firma.

Sovrannumero e massiccia presenza sono le espressioni più frequenti nel provvedimento, mentre si glissa con disinvoltura su termini come censimento della popolazione e stima delle pertinenze, indicati dall’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambinetale), preferendo affidarsi a indagini effettuate da un non ben precisato “personale esperto”.

Eppure, prima di parlare di emergenza, pericolo e rischi per l’incolumità pubblica, occorrono riscontri oggettivi e incontrovertibili in grado di dimostrare la crescita fuori controllo della popolazione. Soltanto allora si potranno valutare idonee misure, che non necessariamente prevedono l’utilizzo delle armi. Diversamente, l’unica cosa della quale si potrà discutere sarà solo il procurato allarme della popolazione.

Impianti di fototrappolaggio, per valutare la consistenza della popolazione, stazioni di foraggiamento, che consentano agli animali di trovare cibo sul proprio territorio senza dover per questo scendere a valle (perché, udite, udite anche i suidi si cibano e, detto tra noi, di incontrare l’uomo non ne hanno davvero nessuna voglia) sono tra le soluzioni più utilizzate ed efficaci.

E invece no, si preferisce fare appello alle armi spacciandole per strumento di garanzia e sicurezza. Difficile poi immaginare che qualcuno possa sentirsi garantito e tutelato da decine di individui, con un fucile in spalla, pronti a premere il grilletto su qualsiasi cosa abbia le sembianze di un cinghiale.

La cronaca recente, ma anche quella meno recente, è piena di episodi nei quali le infallibili carabine si sono abbattute su ignari passanti, piuttosto che su prede di caccia.

L’ordinanza, che rimarrà in vigore sino al prossimo 30 aprile, prova a tranquillizzare la popolazione, escludendo gli spari “dai fondi chiusi e dalle zone Parco” e consentendo l’abbattimento solo a “personale qualificato e a cacciatori volontari aderenti a specifiche associazioni”. Figure grazie alle quali si “solleva l’amministrazione comunale e gli organi di controllo da ogni responsabilità”.

E gli animali abbattuti? Secondo quanto previsto dal provvedimento saranno sottoposti a “rigorosi controlli sanitari” prima che, probabilmente, le loro carni vengano introdotte nel mercato alimentare. Affermazione che non sembra prendere minimamente in considerazione l’esistenza di fenomeni di illegalità diffusa e incontrollata come bracconaggio e macellazione clandestina.

E per galvanizzare ulteriormente i timori dei suoi concittadini, il sindaco di Castelbuono non lascia nulla di intentato e nel testo del provvedimento evoca persino l’episodio di Cefalù. Evento datato, intorno al quale non si è fatta ancora la dovuta chiarezza.

Iniziamo col dire che la persona aggredita, un cacciatore, non si trovava affatto nelle vicinanze della propria abitazione, così come sostiene l’ordinanza, ma in in un’area boschiva dove una giovane esemplare di cinghiale stava allevando i propri cuccioli.

Questa persona ha scelto quindi, consapevolmente, di addentrarsi oltre il consentito, assumendosi i rischi derivanti da questa scelta. Certamente, se qualcuno entra in casa di un altro con il chiaro intento di fargli del male, questo qualcuno sarà consapevole del fatto che la persona minacciata cercherà in ogni modo di difendersi.

Ora, se questo principio vale per gli uomini, per quale strana ragione non dovrebbe valere anche per le altre specie viventi? Perché una madre che uccide per difendere il proprio figlio è un’eroina e una madre che appartiene a una specie differente è un’assassina? Chi ha dato all’uomo la convizione di poter decidere chi deve vivere e chi invece deve morire?

Che la strage abbia dunque inizio e il mostro sia stanato e infine ucciso.

Siate però intellettualmente onesti e anche meno offensivi dell’altrui intelligenza e, senza tanti maldestri giri di parole, diteci come stanno le cose.

Signori, sono tutte scuse. La verità è che vogliamo fare un favore ai cacciatori.

Emma De Maria

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